REPUBBLICA CIECA, Galleria Gallerati, Roma, Italy, 2011

Repubblica Cieca (Blind Republic), solo exhibition, galleria Gallerati, Roma, Italy, curator Valentina Trisolino, april-may 2011

WERTHER GERMONDARI

“Le immagini di Germondari, presentate alla Galleria Gallerati di Roma, sono un ulteriore tassello che va a completare la fitta ricerca artistica dell’autore iniziata venticinque anni fa e che consta di diverse tecniche, tra le quali il video, la performance, la fotografia e le installazioni, a testimonianza della poliedricità e complessità del suo studio. Anche quest’ultimo lavoro si caratterizza per la sottile ironia che è propria dell’anima dell’autore e che percorre come un fil rouge tutta la sua produzione. Il nome del progetto – Repubblica Cieca – è, come in uno dei suoi lavori più conosciuti dal titolo Panca Popolare Italiana, un efficace gioco di parole che crea uno spostamento linguistico e, di conseguenza, un imput alla riflessione su ciò che le immagini rappresentano non realmente ma simbolicamente. Sia i palazzi del potere politico che i palazzi borghesi del rione Monti, sia i comprensori residenziali che il palazzo popolare del Corviale sono accomunati dall’assenza di finestre che l’autore, attraverso le tecniche digitali, ha cancellato dalle immagini. Ciò che più risalta è l’assenza che, come lo stesso Germondari fa presente, è un’assenza assurda, paradossale, ma che ben fa trasparire il messaggio sotteso, l’incapacità odierna di ‘vedere’ oltre il proprio piccolo recinto, non saper andare oltre le esigenze contingenti di ognuno, non avere più una visione d’insieme delle cose, non riuscire più a dialogare creando uno scambio con il prossimo. Sia il titolo, che qui non è un’appendice al lavoro ma parte integrante di esso, che le immagini portano l’osservatore a fare un autonomo percorso a tappe. All’inizio scaturisce l’ironia per il gioco di parole, poi si passa all’osservazione delle immagini che all’apparenza paiono vedute ben composte ma che a un’osservazione più attenta (ecco il passaggio successivo) si rivelano inquietanti per l’assenza delle finestre. A questo punto l’osservatore è chiamato in causa da Germondari nel cercare un percorso di riflessione, ed è qui che l’anima più critica dell’artista esce allo scoperto, si palesa sotto strati di giochi linguistici. Si avverte una critica assolutamente non gridata e sguaiata ma intelligente e pacata. L’attuale situazione del nostro paese viene sottoposta ad un’analisi che non risparmia neanche le istituzioni educative o i luoghi simbolo della cultura, e tutto ciò per far riflettere su come la società italiana si evolve e cammina verso un futuro incerto. Werther Germondari effettua una critica pungente, che lascia l’amaro in bocca dopo averti fatto ridere. Un metodo che è utilizzato da molti artisti contemporanei e che inquadra Germondari all’interno di questo filone. Più specificatamente le immagini di Repubblica Cieca possono essere accostate al lavoro dell’artista Wim Delvoye il quale utilizza con ironia gli slittamenti linguistici permessi dalle immagini fotografiche. Oltre ai riferimenti rintracciabili nella fotografia contemporanea internazionale, il progetto Repubblica Cieca presenta nello specifico analogie con la tradizione artistica italiana legata al paesaggio, partendo dalle pitture metafisiche fino alla fotografia di paesaggio italiana degli ultimi vent’anni. Come lo stesso artista ha dichiarato, questo progetto assume, immagine dopo immagine, i contorni di un lavoro critico che vuol creare, anche se per certi aspetti inconsciamente, una cartina ‘politicometafisica’ dell’Italia, una mappa dove rintracciare, più che gli elementi fisici del territorio italiano, le immagini mentali che ognuno di noi conserva sullo stato attuale dell’Italia.” (Valentina Trisolino, Courtesy Galleria Gallerati)

“Fughe di notizie; condoni e perdoni; legittimi impedimenti; costituzioni ad personam; processi lunghi e prescrizioni brevi; par condicio e conflitti di attribuzione; danni ambientali, intercettazioni occasionali; villone vista mare e barconi terra in vista; scafisti, migranti, isolani, leghisti; nipoti ipotetiche e popolo bue; papi girl, escort, auto blu; la nostra posizione è sempre stata chiara e mi lasci parlare io non l’ho interrotta. Tra gli sguardi attoniti e disillusi assiepati ai margini del tragicomico carosello quotidiano c’è quello di Werther Germondari. Spiazzato sì, ma lucidissimo pure. Osservatore non convenzionale, mistificatore burlesco. Finissimo costruttore di miraggi semantici, inesausto giocoliere del linguaggio. Col suo intervento, la struttura stessa della galleria – avvolta a color-print di edifici senza più porte e finestre – dismette, per solidale metafora, ogni via d’affaccio verso l’esterno. Come spettatore che fuori copione irrompa sulla scena per dire la sua, solennemente Germondari recita la domanda: esistono barlumi di una coscienza collettiva, in questa Italia? E con sarcastico piglio intimidatorio revolvera in aria una risposta: se perfino lo spirito unitario, dopo centocinquant’anni, continua indeciso a gattonare, dove potrebbe riconoscersi un adulto buonsenso repubblicano? A ciascun visitatore della mostra – come e ancor più di ogni volta – la chance di accusare il colpo: di non restarsene poltronamente al calduccio, allineato e coperto nella folla anonima degli osservatori a distanza.” (Carlo Gallerati)

La cosa che mi piace di più del mio progetto Repubblica Cieca è il fatto che il nucleo portante dell'opera sia un’assenza, quasi una versione architettonica dei libri di Emilio Isgrò.” (Werther Germondari)

> see also Urlo cieco/Blind scream

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